Era il mese di settembre del 1990 e fu allora che incontrai alla Rai di viale Mazzini a Roma il mitico capostruttura di Raitre Bruno Voglino, con il quale nacquero da lì bellissime collaborazioni e che fu protagonista, assieme al direttore Angelo Guglielmi, di una rivoluzione copernicana del modo di fare televisione che lasciò il segno e che fece storia.
Andai a conoscerlo e a parlargli di grandi idee e progetti televisivi che assieme a mio fratello Vincenzo elaborammo in quel periodo.
All’epoca avevo quasi 25 anni e incontrare un “mostro sacro” della televisione italiana mi emozionava molto. Mi accolse con fare sereno e ospitale ma con uno sguardo di studio, da vero torinese. Ci eravamo sentiti fino ad allora soltanto via telefono e i progetti gli erano arrivati via fax. All’epoca non c’erano ancora i cellulari e menchemeno gli smartphone.
Mi disse che rimase stupito della mia giovane età e che la voce al telefono lo aveva ingannato. Poi mi fece accomodare nel suo ufficio alle cui pareti c’erano foto di Piero Chiambretti e di Fabio Fazio suoi “figli” artistici, come amava dire (del resto, loro, lo chiamavano affettuosamente papà).
Cominciai a parlargli dei nostri progetti, dei nostri sogni, dei nostri obiettivi. Parlai, penso, per una ventina di minuti ininterrottamente, in un monologo fiume. Lui mi guardava, con il suo inconfondibile faccione. Nessuna smorfia e nessun cambio di espressione. Ad un certo punto mi interruppe dicendo: “ha finito?”. Io mi bloccai convinto che di lì a poco mi avrebbe indicato la porta. “Sì”, risposi rassegnato, anche se era una bugia.
Lui portò i gomiti sul tavolo, fece una pausa e guardandomi negli occhi disse, con un tono di stupore: “ma lei è completamente pazzo!”.
Ancora adesso fu uno dei più bei complimenti che abbia mai ricevuto e di cui serbo e serberò un bellissimo ricordo. Grande Bruno Voglino.
Nella foto, da sinistra a destra: Bruno Voglino, il sottoscritto, Bruno Gambarotta, Fabio Fazio e una splendida Moana Pozzi. Correva l’anno 1991.